Dalla seconda edizione di poesie "MYRICAE arbusta invant humilesque myricae", scritta da Giovanni Pascoli e stampata nel 1892 dalla tipografia di Raffaele Giusti di Livorno, pubblichiamo l’introduzione, che il poeta ha dedicato al babbo.
In questo breve testo ZVANÌ racconta il dramma e i lutti che hanno travolto la sua famiglia, portato via i suoi affetti più cari, lasciato delle ferite che non si sono mai più rimarginate.
a mezza strada tra Savignano e San Mauro è questa casa unica di mia gente e mia, là dove l’11 agosto 1867 (quanti anni, e a me pare non ancor tramontato quel giorno) deposero, con la nobile fronte forata e sanguinante, il mio padre che vi chiamò con la virtù della passione di lì a poco anche mia madre, e prima di lei, una mia sorella, e poi un fratello e un altro.
Tutta una famiglia lì accolta (*), ineffabilmente triste, e io vivo con loro, ed essi non lo sanno e non mi vedono: hanno gli occhi troppo pieni di lagrime.
(*ZVANÌ si riferisce al Mausoleo della Famiglia Pascoli nel camposanto -cimitero- di San Mauro Pascoli, del quale alleghiamo una fotografia)
Ma io non ho avuto e non ho altro fine al quale indirizzare l'opera lo studio, se non questo, che a ogni momento trovo dolorosamente vano: farmi approvare lodare e benedire da loro.
Quanta inerzia grama e lagrimosa succede ai non radi impeti di quel lavoro nullo. Onde è che volendo almeno onorare la memoria di quelle care vittime, sento che ben è ben poco e piccolo ciò che posso dare a questo affetto, e più amara mi si rende quella sventura.
Non soggiacquero essi al destino comune e non li spense natura, coi suoi soavi strali, la quale concede ai superstiti il conforto e anche l'oblio, necessario alla vita.
Li uccise tutti, nel mio padre, la malvagità degli uomini, i quali non finiscono la loro vittima, non l’annullano. Egli fu colpito nella strada, a qualche miglio da casa sua; ed egli è ancora per me (E ANCHE PER VOI, CHE SAPETE) là, nella strada.
Non potere arrivare – singhiozza il mio povero babbo. Così piccole, così sole – sospira la mamma, morta di dolore. Non hanno essi della morte la requie, non si spense d'essi con la vita il dolore; questo (oh! solo questo) rimane d’essi.
E intendo anche le vostre voci, o fratelli miei, Margherita, Luigi, Giacomo. Infelicissimi io vi sento e so tutti, e ho per sempre contristata la vita dai vostri gemiti, che odo; poiché in me voi avete conservata metà della vostra vita, come io in voi ho perduta metà della mia.
Per questa causa non posso, per ora almeno far sì che di voi, de’ quali si bisbiglia ancora appena, qua si pianga e là, in tuguri o in palazzi, impallidiscano quelli che sanno, e pallidi restino sino alla morte. Ma per questo fine, non per la gloriala, la quale rifiuto come troppo meschino compenso della giustizia che la società mi deve, per questo io lavoro.
Oh! Sia questo libretto, per ora, qualche cosa.
Livorno, Gennaio del 1892.
Alleghiamo una fotografia del Mausoleo della famiglia Pascoli che si trova nel cimitero di San Mauro Pascoli.
Giovanni Pascoli “Zvanì” aveva espresso in diversi scritti e poesie la volontà e il desiderio di essere sepolto a San Mauro con i suoi cari, purtroppo così non è stato.
“e chiede che Maria (la Madonna nda) mi porti nella mia casa, per morirvi in pace presso i miei morti”.
Dalla poesia “I Gigli” dove Giovanni Pascoli parla del Giardino della casa dove è nato (oggi Museo di Casa Pascoli) e della Chiesolina della Madonna dell’Acqua.
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