C'è un film che s'aggira per le sale. Anzi in qualche sala: quelle che fanno attività d'essai. Si tratta di La corazzata Potëmkin (1925) di Sergej M. Ejzenštejn. Che finalmente possiamo vedere nella versione restaurata grazie alla cineteca di Bologna. Suppongo che il film sia stato restaurato e rimesso in distribuzione perché quest'anno ricorre il centenario della Rivoluzione russa. Anche se, a onoro del vero, La corazzata Potëmkin ritorna non all'ottobre del 1917 bensì agli eventi rivoluzionari del 1905. A Ejzenštejn, che ha appena realizzato lo sperimentale Sciopero, viene affidato un “affresco” in otto episodi per il ventesimo anniversario degli eventi del 1905. L'impresa è difficile; il tempo ridotto. La stagione inclemente spinge la troupe a sud sul mar Nero. E lì Ejzenštejn ha una folgorazione: vede la “famosa” (dopo il film) scalinata di Odessa e decide che quello è il posto dove dev'essere girata la strage compiuta dai gendarmi e dai cosacchi. Da questa idea ne discende un'altra: concentrare tutto il film sulla nave e le vicende connesse; ad esse la sceneggiatura originale riservava poco meno di un ventesimo delle inquadrature previste. Una rivoluzione. Il film esce con poca fortuna in Urss. Ma in Germania ottiene un grande successo. Che lo rilancia anche in patria. Banco di prova delle teorie sul montaggio di Ejzenštejn e del suo straordinario sperimentalismo, racconta l'ammutinamento dei marinai della nave, la morte del marinaio Vaculincuk, la solidarietà dei cittadini di Odessa, la brutale repressione degli stessi da parte delle autorità, l'incontro della nave con la squadra ammiraglia trovando la solidarietà dei marinai che avrebbero dovuto reprimere l'equipaggio ribelle. Nel finale sul bianco e nero, una macchia di colore: la bandiera rossa issata dagli ammutinati. La corazzata Potëmkin, con ogni probabilità, è il film più citato della storia del cinema – anche se non il più visto. De Palma ha rifatto negli Intoccabili il particolare della scena della scalinata con la carrozzella che precipita lungo le scale; Scola in C'eravamo tanto amati l'ha fatta mimare a Stefano Satta Flores; Villaggio nel Secondo tragico Fantozzi ha anche scagliato il suo ironico anatema, confermando ulteriormente la grandezza del film. Sklovskij ha scritto: Ejzenštejn “sa trattare le cose. Gli oggetti con lui lavorano magnificamente. La corazzata diventa veramente l'eroe dell'opera. I cannoni, il loro movimento, gli alberi, la scalinata, ogni cosa recita, ma il pince-nez del dottore lavora meglio del dottore stesso... riesce con l'uomo:... quando l'intende come citazione, come oggetto, come indicazione standard. Il capitano è bravo come un cannone. E meglio ancora la gente sulla scalinata, ma meglio di tutti la scalinata stessa”.
Gianfranco Miro Gori
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